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In questo momento della nostra storia, è importante chiederci: qual è il nostro futuro possibile?

La nostra specie ha un futuro? E se questo futuro è possibile, a quali condizioni? Di sicuro dobbiamo augurarci che ci sia futuro per la nostra specie, ma dobbiamo anche comprenderne le regole ed esse ci vedono impegnati in almeno tre sfere diverse:

  1. la relazione con l’ambiente
  2. la relazione fra di noi come specie
  3. la relazione con noi stessi

La relazione con l’ambiente.

Abbiamo già realizzato di essere stati enormemente distratti nel corso degli ultimi due/tre secoli e, soprattutto, negli ultimi cento anni, ma la nostra azione inquinante in questo momento è particolarmente visibile perché il ritorno del pianeta sulla nostra disattenzione nei suoi confronti è sotto gli occhi di tutti.

Ormai, il mare è invaso dalla plastica, i fiumi sono diventati grandi cloache che trasportano ogni genere di rifiuto e l’atmosfera è sempre più carica di tossine. Nonostante il malessere creato da tutto ciò, continuiamo a manifestare una certa difficoltà nel produrre quello switch che rappresenterebbe il cambiamento necessario all’interno della nostra mente, il reame dove tutto è possibile.

La relazione tra noi e gli altri.

In questo periodo, nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, l’intero mondo si trova in conflitto con sé stesso.

È partito il coronavirus dalla Cina, ma in realtà è probabile che fosse già presente in diverse aree nel mondo e si sta diffondendo con grande velocità. Ciò ha prodotto un’interazione o, sarebbe meglio dire, una reazione da parte delle nazioni e dei paesi, che si è tradotta in una chiusura, immaginando di poterci in questo modo difendere. Chiudere i confini fisici delle nostre frontiere non è una difesa. Difenderci, invece, è diventare più sensibili alla relazione con l’altro e con noi stessi chiedendo, a noi e all’altro, maggiore attenzione.

Soltanto questa autodisciplina dell’insieme può produrre una soglia di attenzione e di sensibilità sufficiente all’applicazione naturale di tutti quei criteri e quelle regole di igiene personali e collettive, che ci permettono di delimitare e circoscrivere i focolai, dandoci la possibilità di fare un salto nella stima che noi possiamo avere di noi stessi (autostima) e degli altri perché lì, dove io mi rendo conto che l’altro è capace di autoimporsi delle limitazioni, comprendo il suo valore.

La relazione con noi stessi.

Tutto questo può accadere soltanto se ci diventano noti, chiari e presenti i passaggi del percorso FASE (Filosofia, Arte, Scienza, Economia), che hanno fatto sì che la nostra specie evolvesse nel tempo, dove per evoluzione non intendiamo restare in ciò che siamo o riconosciamo di noi, ma muoverci verso ciò che potremmo divenire e che riconosciamo essere il salto evolutivo per la nostra specie.

Pertanto, se l’atto filosofico della ricerca del bene – come somma conoscenza, somma sapienza, realtà ultima dell’anima che plasma come un demiurgo il mondo dentro di sé e intorno a sé – ci feconda e nutre, il paradigma che per lungo tempo ha retto le nostre relazioni (mors tua vita mea) può gradualmente diluirsi lasciando spazio ad uno nuovo: vita tua, vita mea.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che questa comprensione che se vinci tu posso provare a vincere anch’io perché te ne do l’opportunità, quindi questa relazione virtuosa di condivisione, cooperazione, collaborazione – che diventa poi coesistenza – è molto lontana ancora da noi. Non siamo capaci di coesistere e non siamo capaci di dirci chi siamo in potenza.

Siamo, invece, alquanto posseduti da quell’aspetto ancestrale della parte rettile e limbica del nostro cervello, che fa scattare l’amigdala con il suo bisogno di auto difendersi tutte le volte che ci sentiamo minacciati o messi all’angolo.

Quando questa dimensione vive in noi e prende il sopravvento, se crediamo di essere minacciati ci sentiamo feriti o abusati e l’unico desiderio che sorge dentro di noi non è quello di comprendere e interagire per negoziare un futuro migliore, ma piuttosto quello di punire il nostro oppositore: colui che ci ha recato dolore, deve subire dolore (mors mea, mors tua).

Il nostro possibile salto evolutivo.

Questo è un momento storico speciale, nel quale possiamo provare a comprendere pienamente i tre paradigmi e muoverci verso l’ultimo, quello che contiene i precedenti – vita tua, vita mea – poiché trova spazio dentro di noi unicamente se abbiamo compreso gli altri due.

Soltanto nel momento in cui riusciamo a separarci dal bisogno di primeggiare sugli altri ferendoli e ad accogliere, in qualche modo, la ferita che l’altro ci ha fatto senza darle seguito, può nascere nella nostra visione il bisogno di compiere un gesto e lasciare un segno diverso, quello dell’accogliere, del negoziare, dell’interagire, del cercare insieme di esistere per il futuro e, quindi, di collaborare, cooperare affinché questo luogo ci continui a nutrire e ci sostenga nel salto evolutivo che tutti sentiamo essere alle porte della nostra vita, lì pronto dentro di noi, anche se ancora ci sfugge.

Su questa riflessione, per entrare nel paradigma “vita tua, vita mea” c’è bisogno di noi.

Come sarebbe il mondo se fossi in grado di contenere il tuo disagio e di orientarlo in modo nuovo e diverso da quello solito? Che cosa sarebbe la mia, la tua, la nostra vita se fossimo in grado di dire a noi stessi: “Eccomi, sono giunto in un luogo dove c’è silenzio, ascolto, vuoto”?

Una delle mie LIVE sul tema

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