Marc Augé, noto antropologo francese, delinea il concetto di città ideale inteso come possibilità di ritrovare noi stessi nel luogo che occupiamo, il luogo fisico lontano dalla realtà virtuale. Parte dall’assunto secondo cui oggi l’avere un domicilio fisso è considerato una condizione sufficiente per essere felici.
Restare ancorati al proprio porto permette di avere una certa stabilità. In questa direzione le città assumono un significato rilevante, un po’ come avvenne nell’ottocento con il fenomeno dell’inurbamento o con la successiva emigrazione dalle città del Sud a quelle del Nord.
Oggi le città si ingrandiscono e come conseguenza si innesca il fenomeno del decentramento. A questo punto Augé inserisce il concetto di luogo e non-luogo. Secondo la sua definizione un luogo è «uno spazio sul quale si possono decifrare le relazioni sociali che vi sono inscritte»; un non-luogo è invece «uno spazio dove quest’opera di decodifica è impossibile», quindi un luogo di passaggio.
La città ideale – secondo l’antropologo – potrà essere realizzata attraverso la conciliazione, nello spazio urbano, del senso del luogo con la libertà del non luogo. Bisognerebbe, quindi, tracciare delle frontiere tra i luoghi e i non-luoghi, tra il centro e la periferia. Augé si rifà all’immagine delle “magliaie”, come metafora per descrivere la necessità di rimodellare le città e in un certo senso quella di “rammendarle”.