Risposta al libro di Ronald Purser “McMindfulness How mindfulness became the new capitalist spirituality“
“La Mindfulness non è l’oppio dei popoli.”
Desidero condividere con voi alcune riflessioni sulla consapevolezza, sulla filosofia d’insieme e le sue implicazioni sociali.
Voglio iniziare dicendo che non sono un difensore della mindfulness e nemmeno un particolare estimatore di Jon Kabat-Zinn.
Eppure, è impossibile negare oggi che la mindfulness sia importante per la condizione attuale della nostra società. Certamente io propongo per l’essere umano – come suo unico futuro possibile – l’awareness (la consapevolezza) o, se preferite, la self awareness (la consapevolezza di sé), qualcosa di più articolato, completo e complesso della mindfulness, ma tutte si incontrano in un sol punto: il centro dell’uomo, dell’universo nel quale egli vive e costruisce la sua narrazione.
È importante concentrarsi su questo passaggio – la narrazione appunto – per poter individuare le implicazioni sociali di una filosofia d’insieme che veda la nostra specie imparare a raccontare nuovamente sé stessa a sé stessa. Non io al centro dell’universo, ma io come consapevole ponte, in grado di creare una relazione tra me e il tutto e tra le diverse parti del tutto e l’esperienza che faccio di me. Quindi, io essere umano, con tutti i miei limiti, le mie contraddizioni e le mie debolezze, eppure specie apice su questo pianeta proprio perché in grado di comprendere la relazione che c’è tra le cose e elaborarla.
Pur essendo estremamente solo nella mia singolarità, non sono separato, ma in un profondo contatto con il tutto e questo contatto è maggiore nella misura in cui io mi sono incontrato e ho ritrovato me stesso, comprendendo meglio ciò che sono e il mio possibile divenire.
In questi giorni ho letto un articolo di Ronald Purser che afferma che la mindfulness sia l’oppio dei popoli o – per usare le sue parole – il nuovo strumento del capitalismo, perché distrae e addormenta la mente di coloro che la praticano. Stiamo forse scherzando?
È impossibile non comprendere il vero problema, il nodo neurale in questo momento della nostra storia evolutiva. La separazione tra me e me stesso, la distanza tra lo stimolo esterno che i sensi ricevono nell’esperire la vita che intorno a me si compie e la mia capacità di ascolto interno che questi stimoli producono: quali tasti toccano, come mi raggiungono? Mi feriscono, mi destano o creano in me bisogno? E dov’è la soluzione a questa separazione?
La soluzione si trova nella consapevolezza, nell’awareness appunto, nella mia intima, personale capacità di fare silenzio in me stesso, perché il silenzio mi mette in grado di produrre ascolto e nell’ascolto mi avvicino a quelle che sono le mie istanze più intime e profonde.
Se tu ami te stesso sei più capace di entrare in contatto con il mondo, di coglierne le sue difficoltà e di metterti alla prova per cercare di risolverle.
È così che scopri di essere parte consapevole dell’insieme e, in quanto tale, responsabile di una nuova F.A.S.E. (filosofia, arte, scienza, economia). Occorre una visione filosofica per ridisegnare il mondo e una nuova arte per produrre in esso un segno che lo riorienti al bene e al bello, al vero e al giusto, dove – come diceva Francisco Varela – puoi impegnarti come un ricercatore a scoprire le leggi della scienza del sé e generare un nuovo paradigma in grado di produrre un’economia sostenibile per l’insieme: vita tua vita mea.
Allora, immaginare che la mindfulness o la self awareness non siano strumenti per migliorare la società è pura follia, è vera stoltezza o, se volete, manca della struttura della conoscenza dei processi della comunicazione. Infatti, da cosa possiamo misurare la nostra intelligenza se non dalla capacità che abbiamo di comunicare – ancor prima che con gli altri con noi stessi – e che cos’è comunicare se non ottenere il risultato che stiamo ricercando?
Qual è il risultato di queste pratiche? Una maggiore sensibilità nei miei stessi confronti, nei confronti dei miei bisogni che vanno a risolversi man mano che li incontro rendendomi una persona migliore perché più sensibile e, quindi, più inclusiva, capace di accorgersi non solo di sé, ma anche del bisogno altrui, della condizione dell’altro che si muove con me e con me esiste grazie alla vita.
Self awareness (consapevolezza di sé) significa sensibilità, capacità di entusiasmarmi alla vita, di accogliere sfide sempre più grandi facendomi trovare, nei loro confronti, più pronto e fiducioso nelle mie risorse, certo di poterci provare, non certo di poterci riuscire, ma certo di poterci provare e riprovare ancora perché resiliente, in grado, cioè, di imparare da tutto e da ogni cosa, dai miei successi come dai miei errori. Citando Nelson Mandela: “O vinco, o imparo”, o il Dalai Lama: “Se perdi non perdere la lezione”.
È, dunque, così semplice capire che l’unico futuro sostenibile per la nostra specie sia nella consapevolezza.
La nostra specie è sulla soglia di un grande salto evolutivo che richiede la capacità non solo di diventare più sensibili attraverso l’ascolto e più entusiasti della vita, ma anche in grado di esprimere maggiore energia nei confronti degli strumenti attraverso cui definiamo e conosciamo noi stessi e gli altri.
Quando la sensibilità, l’entusiasmo e l’energia mi abitano si amplia la mia visione e io, che so e sono consapevole di essere solo, che so e sono consapevole della difficoltà che gli altri hanno di comprendermi, che so e sono consapevole di dover giocarmi la partita della vita con le mie proprie mani, so anche riconoscere che l’altro è nella mia stessa condizione e quindi, comprendo che muovermi verso di lui mi permette di avvicinarmici migliorando la vita dell’insieme.
Nel momento in cui comprendo che l’altro, come me, usa gli strumenti che ha a disposizione per comunicare, so che dovrò orientarne l’uso per non restarne schiavo. Dovrò, quindi, impegnarmi a comunicare con un unico obiettivo: migliorare ciò che raggiungo.
Se comprendo che la vita è il grande contenitore e, in quanto tale, è dono perché questo attimo è gratuito, il tipo di energia che mi abita è di una qualità superiore: non c’è più rancore, rammarico, odio, violenza, ma consapevolezza, appunto, consapevolezza di sé.
Allora, perdonatemi, ma la mindfulness non è l’oppio dei popoli così come non lo è la self awareness. Esse sono, piuttosto, la chiave per entrare in contatto con un’altra qualità di vita, una qualità superiore che tutti contattiamo senza esserne consapevoli, da cui tutti veniamo nutriti senza onorarla, da cui tutti veniamo amati senza celebrarla.
Non c’è futuro senza la Self Awareness per la nostra specie. La consapevolezza e la consapevolezza di sé sono le chiavi per compiere il nostro salto evolutivo: risvegliarci e diventare presenti a quest’attimo, potendo, così, dire “Grazie Vita”.
Patrizio Paoletti “La Mindfulness NON è l’oppio dei popoli”